Ritorniamo a parlare di legislazione, cercando di esaminare la situazione Italiana confrontandola con quella internazionale.
Facendo un rapido riepilogo storico sulla attuale situazione
legislativa italiana, vediamo che oltre i tre decreti ministeriali, del
1979,1981 e 1982, attualmente vigenti, che prevedono l’iscrizione al
Registro Sommozzatori del Ministero dei Trasporti, presso una
Capitaneria di Porto (Decreto Ministeriale del 13 gennaio 1979
“Istituzione della categoria dei sommozzatori in servizio locale”) c’è
un vuoto legislativo da più di 30 anni. Questo a differenza degli altri
Stati dell'Unione Europea, tanto da poter affermare che in Italia non
c’è una disciplina professionale che identifichi e tuteli la categoria
degli operatori subacquei al servizio dell’industria.
Le uniche azioni degne di nota in questo trentennio di sostanziale
assenza legislativa, sono l’ordinanza n. 77 del 1992 della Capitaneria
di Porto di Ravenna, la cui importanza sta nel fatto che introduce per
la prima volta in Italia nozioni che trovano già applicazione nel resto
del mondo, importantissime per la gestione in sicurezza delle immersioni
lavorative subacquee, come la figura dello stand-by, l’importanza della
comunicazione con la superficie, l’uso di caschi che permettono
contemporaneamente la respirazione autonoma e la comunicazione, e,
l’applicazione di queste regole non solo all’interno dell’area portuale
ma su tutto il territorio di competenza della capitaneria ecc., e la
sentenza del Tar del Lazio del 2006, con la quale è decaduta la
limitazione dei 35 anni per l’iscrizione al registro.
Il risultato è che tale lacuna legislativa è la causa maggiore di
una serie di incidenti, spesso mortali, che avvengono annualmente sul
nostro territorio, incidenti che sarebbero sicuramente diminuiti con
l’esistenza di una legislazione che fissa regole chiare a partire dalla
formazione degli operatori e il loro corretto inquadramento.
Negli ultimi anni, sempre di più spesso, diverse Capitanerie di
Porto sul territorio nazionale, hanno implicitamente espresso il loro
disagio per il vuoto legislativo, emanando ordinanze specifiche che
hanno un effetto limitato, essendo applicabili solo sul territorio di
competenza di ciascuna capitaneria anche se dal punto di vista della
sicurezza sono apprezzabili, ma proprio questo frazionamento
territoriale penalizza le stesse ditte che, per mancanza di una uguale
legislazione sul territorio nazionale, sono surclassate dalla
concorrenza sleale di chi opera senza gli stessi criteri di sicurezza a
qualche chilometro di distanza.
A partire dal 1997, nelle passate legislature, sono state presentate
ben 8 proposte legislative, fino all’ultima legislatura durante la
quale ne sono state presentate ben 3, ma senza giungere all'esame
dell'Aula, probabilmente per una serie di errori di impostazione o di
poca competenza vista anche l’elevata specificità degli argomenti
trattati, poca dimestichezza dimostrata dalla non distinzione della
subacquea sportiva da quella del settore industria, dal confondere
attività portuali con attività inshore e offshore, concetti che fuori
dall’Italia sono delle consolidate realtà.
In questa panoramica c’è da sottolineare che l’UNI nel 2010, per la
prima volta, ha presentato la norma UNI 11366 per regolamentare le
attività subacquee e iperbariche in offshore, alla quale ha fatto
riferimento il presidente Monti nel Decreto Sviluppo del 2012. La
normativa UNI ha cercato di definire una base per i lavori in offshore,
attività che in Italia non è stata mai regolamentata.
In pratica, non esistendo in Italia una categoria professionale per i
lavori in offshore, l'imprenditore italiano che voglia assumere
operatori qualificati deve rivolgersi a lavoratori stranieri dotati di
brevetto «omologato» con costi, rispetto alla realtà economica italiana,
superiori del 100 o 200 per cento, con effetti sulla competitività
economica facilmente valutabili, oppure utilizzare chi con una
preparazione nel settore sportivo fa attività nelle acque interne, cioè
fiumi laghi ecc. dove la percentuale degli incidenti registrati è ancora
maggiore.
Le stesse ditte che operano in offshore a volte, per mancanza di
regole, assumono personale senza la giusta preparazione, spesso
applicando criteri basati sul risparmio, a discapito della sicurezza e
della professionalità degli operatori, assumendoli con titoli inadeguati
per aumentare l’utile a discapito della sicurezza nel cantiere, spesso
tali titoli inadeguati sono conferiti da scuole di serie B all’estero,
che rilasciano facili certificazioni di attività formative mai fatte. Ma
anche nel settore inshore e in aree portuali le stesse Capitanerie di
Porto presentano diverse lacune, sia nei controlli, sia nelle iscrizioni
al Registro Sommozzatori, dove, a volte, i titoli ammessi sono
inadeguati per l’attività lavorativa prevista in termini di competenze
(ISTAT e ISFOL) del lavoratore, aumentando la confusione nel settore a
discapito sia della sicurezza ma anche della competenza, della
professionalità e dell’immagine che il commercial diver Italiano ha in
ambito internazionale.
La subacquea industriale ha bisogno di una legislazione che includa
tutto il territorio nazionale, emanando regole e criteri specifici per i
vari livelli, ambito portuale, ambito inshore e offshore.
Bisogna tenere conto che il mondo del lavoro e la situazione
territoriale, nel quale può operare la figura professionale del
sommozzatore industriale, vanno oltre i limiti regionali e nazionali e
quindi, per sostenere la mobilità professionale delle persone, i
percorsi formativi sviluppati nel settore devono seguire il percorso
indicato dalle regole della formazione nel settore industria. Qui,
mentre in Italia troviamo l’ISFOL che declina le competenze necessarie
dell’operatore che opera in ambito portuale per poter adottare un piano
didattico per una formazione adeguata, in ambito offshore questa
formazione deve essere organizzata in coerenza con gli standard che
adottano le ditte che operano nel settore, standard definiti dall’IMCA
(International Marine Contractors Association) in coerenza con quelli
internazionali di: HSE-UK (Health & Safety Executive) validi nel
Regno Unito; ACDE (Association of Commercial Diving Educators) validi
negli USA; ADAS (Australian Diver Acceditation Scheme) in Australia;
ARAMCO (Arabia Saudita) per i Paesi Arabi, utilizzando gli standard
didattici che fanno riferimento all’unica didattica, a livello
internazionale, nel settore della subacquea industriale IDSA
(International Diving Schools Association), che a livello mondiale ha
elaborato regole per la formazione nel settore inshore e offshore in
base ad una più che quarantennale esperienza, dovuta alle scuole che vi
aderiscono a livello mondiale, che possono garantire una maggiore
spendibilità della qualifica di Sommozzatore Italiano a livello
internazionale, riportando la categoria al livello che le spetta per la
storia e l’importanza di chi ci lavora.
La stessa iscrizione al registro sommozzatori dovrà essere divisa in
più categorie, in base alla formazione e alle competenze dell’individuo
iscritto, cosi come oggi avviene in tutto il mondo, dove ci sono regole
per la sicurezza e la professionalità di questo settore. Anche l’ENI
spa sin dal 2008, ha adottato queste regole, spesso però non condivise
dalle aziende, regole che dovrebbero essere consolidate da una opportuna
futura proposta legislativa.
Una certa facilità di accesso, come quella che si registra ancora
oggi, a quella che risulta essere la porta d’ingresso, cioè l’iscrizione
nel registro sommozzatori in servizio locale (attività in ambito
portuale), peraltro legittimata dalla normativa in vigore, ha gravi
implicazioni e penalizza tutto il settore, ma anche l’incolumità stessa
degli operatori che si trovano ad affrontare attività lavorative senza
la dovuta esperienza e conoscenza.
L’unica figura professionale subacquea riconosciuta dalla normativa
in vigore è quella degli OTS (Operatori Tecnici Subacquei) iscritti nei
registri delle Capitanerie di Porto, la cui attività ha una limitazione
territoriale ben definita, mentre la gran parte delle operazioni
subacquee si svolge al di là e al di fuori dell’ambito portuale, senza
che sia prevista alcuna normativa che regoli e tuteli la figura
professionale degli operatori di questo settore.
Quanto mai opportuno e urgente è quindi un ordinamento del settore
che parta dalla formazione, con la caratterizzazione e il controllo
delle scuole e dei centri di formazione, l’allineamento alle normative
europee delle qualifiche e dei brevetti degli operatori subacquei
giungendo fino al controllo continuo e capillare delle figure
professionali durante lo svolgimento delle attività subacquee.
Ecco i motivi per cui bisogna eliminare questo vuoto legislativo e
dare finalmente una legislazione seria e competente agli operatori del
settore, sia alle aziende che vi operano, sia a chi materialmente poi
scende in mare per lavorare e a chi dovrà vigilare e proteggere gli
operatori del settore.
Arriviamo cosi ad oggi, con l’auspicio che si presenti in tempi
brevi una nuova proposta in parlamento, affinché ci siano i tempi
tecnici per un iter abbastanza lungo, ma che garantisce in uno stato
democratico, trasparenza e sovranità del popolo prima che un testo possa
diventare legge, perché tutti possano, tramite i loro rappresentati in
Parlamento, esprimere la loro opinione, durante i lunghi esami fra le
varie commissioni parlamentari o in aula.
Questa volta, ritengo che sia il momento giusto per gettare basi
solide, affinché nei prossimi anni ci sia una svolta con una legge
nuova, visto che ormai anche i legislatori hanno preso coscienza del
problema e che si è cominciato finalmente a lavorare ad una soluzione
definitiva ed adeguata ai nostri tempi.
In chiusura, vorrei fare una sola osservazione: attualmente in giro
ci sono diverse voci che parlano di fantomatiche leggi approvate, o
riportano pezzi dell’ultima proposta legislativa, non più valida perchè è
cambiata la legislatura, sperando di ottenere popolarità o attenzione,
per obbiettivi oscuri non meglio specificati, a volte per vanità,
superficialità, stupidità o semplicemente ancora per mancanza di
professionalità, preparazione o semplice incompetenza ed ignoranza, che
purtroppo danneggia, perché porta su strade sbagliate sia coloro che
vorrebbero intraprendere questa professione sia coloro che ci lavorano,
penalizzando cosi un intero settore che di problemi ne ha già
abbastanza.
La professione dei “Commercial Diver” nella legislazione Italiana
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