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lunedì 10 giugno 2013

Ai fini del calcolo della decompressione è importante tenere conto della:
  • durata dell’immersione calcolata dal momento dell’entrata in acqua fino alla prima tappa
  • velocità di discesa sul fondo (una discesa rapida schiaccia le microbolle, una discesa lenta fa sì che i tessuti che assorbono l’azoto più lentamente comincino a caricare il gas inerte già durante la discesa)
Esistono due approcci per il calcolo della decompressione:
  1. il sistema compartimentale (elaborato dal prof. Buhlman partendo dagli studi del prof. Haldane creatore delle tabelle U.S. Navy),
  2. il sistema a controllo della formazione e sviluppo delle bolle (Varying Permeability Model – VPM, Reduced Bubble Gradient Model – RGBM, Tissue Bubble Dynamics Model – TBDM)
Qual è la differenza fra questi due modelli di decompressione?
Il modello compartimentale prevede che durante la decompressione tutto l’azoto accumulato nei tessuti si liberi nel sangue come gas disciolto e venga poi eliminato con l’espirazione dai polmoni. La legge che è alla base di questo modello è la legge di Henry il cui enunciato è: a temperatura costante, la quantità di gas in soluzione è proporzionale alla pressione che il gas esercita sul liquido. Il volume totale di gas disciolto in un liquido (quando siamo in condizione di saturazione) dipende dal solubilità del gas, volume del liquido e la pressione con cui il gas preme su di esso. Le bolle si formano solo se non si rispettano le tappe di decompressione e la velocità massima di ascesa. Secondo questo modello, in un’immersione in curva di sicurezza i tessuti possono sopportare il doppio dell’azoto normalmente presente in superficie (fino a 1,6 bar). Se la quantità di azoto che si libera dai tessuti in risalita è superiore al doppio del normale, allora bisogna fermarsi per una tappa di sicurezza, detta tappa di decompressione (3 metri, 6metri, 9 metri, ecc.).
Ricerche sul campo ci dicono che dopo ogni immersione ci sono sempre delle bolle (più o meno numerose) e che non sempre le bolle creano problemi. Nel nostro sangue ci sono sempre microbolle con un diametro inferiore a 10 micron (quindi inferiori al diametro di un globulo rosso che misura 8 micron).
Le microbolle presenti nel nostro organismo sono di due tipi:
  1. microbolle a vita breve (al massimo qualche ora); derivano dalla vorticosità del sangue nel passaggio dalle valvole cardiache, dai movimenti muscolari e articolari (attenzione a fare attività fisica subito prima dell’iimersione!)
  2. microbolle a vita lunga (fino a qualche giorno); derivano da immersioni precedenti.
La pericolosità delle bolle dipende dal loro numero e dalla loro grandezza. Tradotto in termini pratici, possiamo dire che dopo immersioni senza stress decompressivo (entro i 30-40 metri, in curva di sicurezza, una sola immersione al giorno, ecc) si formano poche bolle e queste non creano problemi.
Appena il subacqueo inizia la risalita (la pressione esterna sull’organismo si riduce e l’azoto accumulato fuoriesce dai tessuti per passare nel sangue) il 90% dell’azoto contenuto nei tessuti si diffonde nel sangue per essere eliminato con l’espirazione, mentre il 10% penetra nelle bolle che sono sempre presenti in circolo.
Da cosa dipende la capacità o meno di entrare? Dalla resistenza che la bolla offre: tanto più piccola (compressa) è la bolla, tanto maggiore sarà la resistenza che offre all’ingresso dell’azoto. Questo è il principio della legge di Laplace. Ovviamente quando l’azoto entra nella microbolla, questa inizia ad ingrandirsi e se si ingrandisce troppo finisce per rompersi e va a creare delle bolle figlie di dimensioni inferiori. La bolla, come il gas disciolto, arriva fino al polmone. I capillari che circondano gli alveoli trattengono le bolle con un diametro maggiore di 10 micron, a questo punto l’azoto esce dalla bolla e viene eliminato con la espirazione. Se però si fanno immersioni con stress decompressivo (immersioni oltre i 30 metri, più immersioni al giorno, immersioni in più giorni consecutivi, immersioni con profilo inverso) o errori in decompressione, ecco che si formano tante bolle e bolle grandi. A questo punto le bolle molto grosse possono danneggiare direttamente la parete del vaso, oppure il nostro organismo riconosce le bolle come estranee e le aggredisce (sviluppando una vera e propria infiammazione). Tanto più grandi sono le bolle tanto maggiore è la probabilità di avere dei problemi. La probabilità di avere un incidente da decompressione (DCI) supera il 3% quando il diametro delle bolle supera i 120 micron nelle immersioni entro i 30 metri di profondità o gli 80 micron nelle immersioni oltre i 3 metri. Immergersi spesso (più di 40 immersioni all’anno) fa bene perché così si schiacciano le microbolle che diventano più resistente all’ingresso di azoto.
Un buon profilo di immersione è quello che facevano i corallari: discesa rapida (20 metri al minuto) sul fondo, distacco lento dal fondo, perché è in questo momento che si formano le prime bolle; tappe profonde (di due minuti) che servono per scaricare un po’ di azoto; negli ultimi 15 metri, risalita lenta.
Abbiamo visto che le bolle iniziano a formarsi nel momento del distacco dal fondo. Quando possiamo considerarle scomparse? Quattro ore dopo la fine dell’immersione. Ecco perché è importante rispettare un intervallo di superficie di almeno due ore tra un’immersione e l’altra.

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