Testi e foto di Francesco Turano
Non avrei mai pensato di fare una simile immersione, con tanti incontri in soli 20 minuti di tempo di fondo.Ma andiamo con ordine e vediamo cosa è accaduto in quel magico 22 giugno 2002, di primo mattino, sui fondali di un isola ancora oggi tagliata fuori dal resto del mondo e, forse per questo, ricca di un fascino troppo particolare per essere descritto in poche righe. Dopo anni di viaggi e immersioni in Mediterraneo conosco Linosa nel maggio di quest’anno. Tutto nasce per un casuale riavvicinamento ad un mio caro vecchio compagno di liceo, Michele Burgio, oggi insegnante di scuola media proprio sull’isola. Il fascino di questi fondali mi rapisce immediatamente, nonostante l’assenza di colore legata alla mancanza di quella fauna bentonica tipica del coralligeno; roccia e alghe, con poche spugne e valanghe di madrepore arancioni (Astroides calycularis), sono gli elementi caratteristici di questi substrati sommersi di origina vulcanica, particolarmente ricchi di anfrattuosità. Dopo un primo approccio con la famosa secchitella, in compagnia di Guido e Caterina del Linosa Diving Center, torno sull’isola dopo solo un mese, di rientro da Lampedusa per uno dei mie lavori legati come sempre al mondo sommerso. Durante il primo sopralluogo avevo avuto modo di conoscere a fondo uno dei più bei punti d’immersione esistenti alle Pelagie, un’immersione definita “top” insieme a poche altre dai titolari del diving; avevo perlustrato la secchitella in più tuffi ed avevo apprezzato sia la fantastica morfologia del fondale sia la grande quantità di cernie brune, dotti e pagri, oltre a tanute, saraghi, corvine e tordi; senza parlare poi dei numerosi reperti archeologici disseminati a varie profondità. Nel secondo sopralluogo, a un mese di distanza, chiedo se possibile fare un tuffo sullo scoglio di Pietro Tuccio, una secca che da un fondale di una settantina di metri sale fino a –32 m dalla superficie, a circa mezzo miglio dalla costa. Un’immersione per pochi selezionati clienti particolarmente impegnativa, ma densa di sorprese. Ed è così che sabato mattina ci si vede al diving alle 8.00 per il briefing. Una volta in mare si raggiunge la verticale del punto d’immersione e si molla un pedagno in zona, visto che non è possibile ancorare. Una capovolta veloce e giù, a capofitto nel blu! Siamo in tre, pochi ma buoni. In breve inizia a vedersi la sagoma della dorsale della secca. Raggiungiamo il cappello, a –32 m, e proseguiamo verso la sella centrale di questa cresta rocciosa sopraelevata per poi scivolare lungo le pareti e verso la franata posta a –55 m proprio sotto di noi. Mentre scendo non posso fare a meno di restare incantato dai dentici in branco e dai pagri numerosi che nuotano tranquilli davanti ai nostri occhi, scomparendo gradualmente alla vista e riapparendo magicamente in punti diversi. Ma eccoci al fondo: sotto di noi una famiglia di grosse cernie brune, tutte in acqua libera e abbastanza tranquille, si strofinano l’una con l’altra, probabilmente impegnate in rituali amorosi. Osservo la scena sempre più da vicino, fino a quando i pesci non cominciano a sfilare, uno alla volta, entrando da un unico ingresso sotto una serie di grossi macigni accatastati. Splendida visione! Raramente accade di vedere tanti di questi pescioni tutti insieme e così tranquilli! Salgo di pochi metri e, per caso, alzo la testa verso la superficie: quattro grandi ricciole, sfilate come siluri, nuotano sopra di noi. Una decide di venire a guardarci più da vicino e ci punta contro senza indugiare: dopo aver visto Guido passa davanti a me, girandomi intorno a meno di un metro di distanza; giusto il tempo di fare una foto a piena inquadratura allo splendido pesce e via, di rientro nel branco dei signori del blu. Che dire, sono appena 10 minuti che sono sott’acqua e già sono pieno di soddisfazione come di rado accade. Ma non finisce qui. Con gli occhi ancora invasi dalle scene osservate mi avvicino ad un fenditura verticale della parete e non posso fare a meno di accendere la torcia; all’interno belle musdee e giovani cerniotte condividono numerose lo spazio disponibile, quasi affiancate le une alle altre. Scatto delle foto e comincio a guadagnare qualche metro verso il sommo della secca, ormai carico di azoto nei tessuti. Nuvole di castagnole e boghe, oltre a miriadi di piccoli pesciolini argentati (latterini), rendono gaia l’atmosfera a queste quote; qui la roccia è fittamente coperta da notevoli varietà di alghe. Percorriamo tutto il tragitto della cresta fino all’estremità opposta, a quota a –42, per poi iniziare la risalita. Come d’incanto un ultima sorpresa: ecco apparire sopra di noi le sagome inconfondibili dei grandi lucci, i barracuda mediterranei, in un bel branco che si staglia in controluce. Ma è tempo di andare, ci aspetta una lunga decompressione.
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